Un tempo per tacere e un tempo per parlare – bis

Questo brano, Parola di Dio rivelata, viene proposto come “lex orandi” dalla Santa Chiesa, anche nel “Novus Ordo”, attraverso una lettura dell’Ufficio delle Letture del Breviario,-che tutti i ministri sacri sono tenuti a pregare ogni giorno, per non incorrere in colpa grave (peccato mortale)-, che riporta la meditazione su questo testo da parte del Santo Pontefice Gregorio Magno, alla luce della Parola evangelica di Gesù Cristo nella parabola del buon pastore
 

“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.

C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,

un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.

Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,

un tempo per demolire e un tempo per costruire.

Un tempo per piangere e un tempo per ridere,

un tempo per gemere e un tempo per ballare.

Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,

un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.

Un tempo per cercare e un tempo per perdere,

un tempo per serbare e un tempo per buttar via.

Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,

un tempo per tacere e un tempo per parlare.

Un tempo per amare e un tempo per odiare,

un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?

Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini, perché si occupino in essa.

Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine”. (Qo 3, 1-11)

Questo brano della Parola di Dio, più di altri, ha da sempre colpito gli uomini, figli di Abramo e figli di Dio in Gesù Cristo, e anche gli uomini che rifiutano la fede in questo Dio, perché la sua evidenza supera ogni possibilità di relativizzazione.

Ma la domanda che questo brano pone rimane drammatica per ogni uomo di ogni tempo, e pone in evidenza come in ogni momento, di fronte ad ogni situazione, l’uomo sia solo davanti a Dio nel dover rispondere.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica infatti ci ricorda: “La fede è innanzi tutto una adesione personale dell’uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l’assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato.

In quanto adesione personale a Dio e assenso alla verità da lui rivelata, la fede cristiana differisce dalla fede in una persona umana.

È bene e giusto affidarsi completamente a Dio e credere assolutamente a ciò che egli dice.

Sarebbe vano e fallace riporre una simile fede in una creatura”. (CCC 150)

Ma, a ben vedere, proprio il brano di Qoelet ci indica in modo molto chiaro come possiamo operare per un vero discernimento su quale sia il tempo per ogni cosa.

L’ultimo versetto infatti è molto esplicito. Il tempo è di fronte all’eternità.

L’uomo, pur “non potendo conoscere la totalità dell’opera di Dio dal principio alla fine,” è chiamato ad ascoltare il suo “cuore” che ha la nozione dell’eternità.

Questo momento è il momento di tacere o di parlare, secondo quanto il tacere o il parlare unisce questo momento all’eternità.

Se dunque io taccio per preservare un bene del tempo che passa, e perdo un bene eterno, sono fuori tempo.

Se io, pur di preservare il bene eterno, perdo un bene passeggero, parlo in questo tempo, è il tempo giusto.

Gesù stesso ci esorta in modo esplicito a tale discernimento: “Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?” (Mt 16, 25-26).

Tale domanda poi Gesù la pone proprio in relazione alla capacità degli uomini a cogliere i segni dei tempi: “Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?” (Mt 16, 2-3).

Gesù quindi ci aiuta a comprendere quale sia la causa della nostra incapacità a discernere: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. (Mt 16, 24-25)

Chi infatti ha il cuore schiavo della paura di perdere ciò che gli dà sicurezza nel tempo presente, può facilmente cadere nell’errore di perdere ciò che dura per la vita eterna:

“Nel passare però all’altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere il pane. Gesù disse loro: «Fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei».

Ma essi parlavano tra loro e dicevano: «Non abbiamo preso il pane!».

Accortosene, Gesù chiese: «Perché, uomini di poca fede, andate dicendo che non avete il pane? Non capite ancora e non ricordate i cinque pani per i cinquemila e quante ceste avete portato via? E neppure i sette pani per i quattromila e quante sporte avete raccolto.

Come mai non capite ancora che non alludevo al pane quando vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei?».

Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei”. (Mt 16, 5-12)

Gesù fa dunque consistere la causa dell’errore del farisaismo, che è l’ipocrisia, il “lievito dei farisei”, nella paura di perdere i beni temporali.

Comprendiamo perciò che, chi vuole veramente la capacità per discernere il “tempo per ogni cosa”, deve essere davvero disposto a caricare la “croce quotidiana”.

Chi vuole la Sapienza, deve avere il cuore libero da altri desideri.

Altrimenti il cuore, per paura di perdere ciò gli pare indispensabile, non riesce nemmeno a sentire la voce della Sapienza di Dio, che gli indica ciò che vale per l’eternità.

“A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda».

«Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare.

Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?».

Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole.

Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te”. (1 Re 3, 5-12)

Gesù sintetizza con la Sua solita efficacia: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”. (Mt 6, 24)

L’Apostolo Giacomo insiste con forza: “Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per soddisfare cioè le vostre passioni.

Gente infedele! Non sapete che l’amore per il mondo è nemico di Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio.

O forse pensate che invano la Scrittura dichiari: «Fino alla gelosia ci ama lo Spirito, che egli ha fatto abitare in noi»? Anzi, ci concede la grazia più grande; per questo dice: Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia.

Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi.

Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi.

Peccatori, purificate le vostre mani; uomini dall’animo indeciso, santificate i vostri cuori”. (Gc 4, 2-8)

La cosa interessante è che il Santo Apostolo rivolge queste parole ai cristiani in rapporto alle forti battaglie interne alla Santa Chiesa:

“Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra!” (Gc 4, 1-2)

Anche in questo momento storico, poiché il cuore di molti battezzati non è libero dalle passioni, le guerre e divisioni sono della medesima gravità che è denunciata dalla Parola di Dio.

Se uno dice che la tal cosa è bene, l’altro invece dice che è male.

E ovviamente le due cose non possono stare insieme.

Sono stato parroco di Santo Spirito in Monte Romano, un piccolo paese sulle colline della nostra Diocesi.

Appena iniziato il ministero, ho proposto ai parrocchiani una catechesi per conoscere il Catechismo della Chiesa Cattolica.

I partecipanti erano intorno a una ventina, era molto facile che ognuno potesse esprimere le proprie domande, dubbi, opinioni. Abbiamo iniziato la lettura del testo, ed io ho cominciato ad evidenziare il significato di quello che leggevamo.

Dal primo incontro all’ultimo che abbiamo svolto, ad ogni cosa che dicevo, la reazione dei presenti era la medesima, sembrava il ritornello di una canzone.

“Ma se è vero quello che dici tu, allora tutti gli altri ci hanno insegnato male”.

Io cercavo di evitare che la questione venisse presentata come una questione personale: io e gli altri.

Spiegavo che ognuno ha ricevuto una formazione differente, che può avere accenti differenti, ma la fede che ogni pastore della Chiesa vuole esprimere è la stessa, e si prodiga in ogni modo per rendere comprensibile a chi ha davanti il “Deposito della Fede” consegnato dagli Apostoli alla Santa Chiesa.

Ma ad ogni nuova parola il problema si riproponeva.

È un paese in mezzo alla campagna. In campagna i discorsi di sofismi non servono, bisogna chiamare pane il pane e vino il vino.

Allora, per evitare questo continuo confronto tra me e gli altri, ho proposto che confrontassero quel che dicevo con il testo del Catechismo della Chiesa Cattolica, che appunto stavo leggendo. Domandavo continuamente: “Ma quello che dico io e quello che leggete è o non è la stessa cosa?”

Ecco che la risposta si è fatta più sottile: “Ma se gli altri parroci che abbiamo avuto ci avessero letto questo stesso testo ci avrebbero detto una cosa diversa, tu interpreti in un modo e loro in un altro”.

Non potevo più evitare di affrontare la questione.

Ho detto: “ognuno è responsabile davanti a Dio, io non posso rendere conto del perché altri diano altre interpretazioni, io ho il dovere, come rappresentante ufficiale della Santa Chiesa per questa Parrocchia, di annunciare la Verità della Fede della Chiesa, e vi mostrerò che non è una interpretazione”.

Abbiamo affrontato allora una delle domande emerse: “è possibile per una persona sposata che vive con una persona fuori dal matrimonio ricevere la Santa Comunione?”

Ed ho mostrato loro la continuità tra quel che dicevo io e i testi del Catechismo del ’92, il Catechismo di san Pio X e il Compendio del 2005, spiegando anche la gerarchia delle fonti. A questo punto è stato inevitabile che qualcuno dicesse: ma “Amoris Laetitia” dice diversamente.

Infatti, anche in una delle tristemente note “interviste sull’aereo” Bergoglio aveva affermato, alla domanda diretta se ci fosse o meno una rottura col passato, che c’era questa rottura.

Il mio cuore ovviamente si stringeva, tutto avrei voluto, meno che creare nei poveri fedeli, desiderosi semplicemente di sapere che cosa insegna veramente la Santa Chiesa, il dilemma se ascoltare il Parroco o colui che essi ritengono il Papa.

Ho scelto di annunciare la Verità ugualmente, senza timore delle conclusioni che potessero trarre riguardo all’insegnamento proveniente da quella che a loro appariva la Sede Apostolica.

A questo punto diventa molto facile comprendere come sia avvenuto che il mio Vescovo, dopo solo due mesi e mezzo di ministero, mi abbia chiesto di rinunciare alla Parrocchia.

Perché ora si comprenda la mia scelta di non tacere, nemmeno di fronte alla inevitabile conseguenza, voglio proporre un esempio.

In una famiglia, un figlio comincia a cadere in amicizie non buone. Dopo qualche tempo i genitori ricevono alcuni segnali del fatto che potrebbe essere entrato in un giro di droga.

Il padre comincia ad essere severo con il figlio imponendo delle regole per cercare di allontanarlo da quel gruppo.

Il ragazzo ricorre al ricatto sentimentale e approfitta dell’affetto della madre per continuare a frequentare quella gente senza che il padre sia perfettamente consapevole di quello che avviene. Pian piano la cosa peggiora, e la madre non riesce più a coprire l’azione del figlio, perché questi ha un malore e i medici riscontrano il problema.

I medici spiegano ai genitori che solo l’ingresso in una comunità di recupero può salvare il giovane. Il padre è deciso, la madre non resiste alle suppliche del giovane.

Il giovane, nel frattempo, per procurarsi il denaro necessario, inizia anche a vendere la droga e la nasconde in casa. I genitori lo scoprono.

Il padre, consigliato dagli esperti, comprende che deve allontanare il figlio dalla casa di famiglia, per far sì che affronti il problema.

Padre e madre non riescono più ad andare d’accordo.

Il padre si domanda: “Devo salvare a tutti i costi l’unità con mia moglie, accettando la sua decisione anche se so che è il male di mio figlio, o è meglio salvare mio figlio, anche a costo di perdere il bene dell’unità con mia moglie?”

In questo momento io sono nella situazione di quel padre.

La gerarchia ufficiale della Santa Chiesa è governata da qualcuno, che si comporta come chi crede che aver compassione, tolleranza e condiscendenza verso gli errori dei figli possa essere il cammino per la loro salvezza (almeno voglio sperare che sia veramente questa la ragione per cui usano la potestà della Chiesa in questo modo, altrimenti lo scenario sarebbe terribilmente peggiore. Ma la valutazione non spetta a me).

Io so che il vero bene del figlio, cioè dei fedeli, è un altro.

I fedeli, come quel figlio, spesso non sono nemmeno in grado di percepire che sono io, come quel padre, che veramente voglio il suo bene, e che l’atteggiamento della madre può rovinarlo per sempre.

Potrebbe quel padre abbandonare il figlio alla sua dipendenza, solo per timore che egli percepisca il contrasto con la madre, o per evitare la divisione dei suoi genitori?

Io sono unito alla Santa Gerarchia della Chiesa con un vincolo di responsabilità sui fedeli come un padre è unito alla moglie nella responsabilità sui figli.

La scala gerarchica non toglie nulla alla universalità della responsabilità di ogni vescovo, e per partecipazione di ogni sacerdote, su tutto il Gregge di Dio.

Io ho scelto.

Non posso più tergiversare per timore di recare scandalo.

“Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?” (Lc 11, 11-12)

Io non posso dare pietre, serpenti e scorpioni di false dottrine, o di silenzi e ambiguità rispetto ad esse.

In questo momento storico non è più possibile nascondere il fatto che tutto quello che è stato insegnato dalla Santa Chiesa nel Santo Magistero Autentico è in opposizione con quello che viene in questi anni promosso approfittando dell’autorità della Cattedra di Pietro.

Di fronte al pericolo che i fedeli scelgano una falsa dottrina e vivano contro la Legge di Dio, perché si sentono rafforzati in questo da quello che credono essere il vero magistero pontificio, non posso più tacere.

Il pericolo che i fedeli in un primo momento si facciano delle domande drammatiche a causa di questo è inevitabile.

Ma non sono io la causa di questo contrasto.

Se il figlio del mio esempio avesse domandato al padre: “Ma allora mamma sta sbagliando nel modo di educarmi?” il padre non avrebbe avuto la possibilità di aggirare la domanda.

“Certo, tua madre sta sbagliando”.

Come ho chiarito nella mia lettera aperta, non è la Santa Madre Chiesa che sta sbagliando o insegnando il falso e il male. Sono degli uomini, chiamati da Gesù Cristo a servirLo attraverso il Sacramento dell’Ordine, in vari gradi, che però Lo hanno tradito.

Se non si risponde con chiarezza a questa questione, il Gregge di Dio potrebbe pensare che i traditori sono coloro che annunciano la Verità, che la Santa Chiesa ha sempre insegnato, e potrebbero per questo motivo essere ancor più facili prede del Principe della Menzogna.

Egli facilmente li trascinerebbe con sé nel fuoco dell’inferno, lui che odia Dio e gli uomini per i quali Gesù Cristo Signore ha offerto Se Stesso.

Subito dopo il brano appena citato, il Vangelo ci narra la liberazione da un demonio e la reazione dei presenti:

“Ma alcuni dissero: «È in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni»”. (Lc 11, 15)

Nemmeno Gesù ha potuto evitare che la sua opera di liberazione dal potere del Maligno fosse attribuita proprio al principe dei demòni.

Non mi meraviglio pertanto che ciò possa avvenire per tutti coloro che in questo momento tentano con amore di testimoniare la Verità, obbedendo al comando di Gesù, senza timore per quello che questo può implicare.

“Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la Mia Parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del Mio Nome, perché non conoscono Colui che mi ha mandato”. (Gv 15, 20-21)

Il dramma di molti cristiani di oggi, vittime proprio di questi falsi insegnamenti, che come fumo nefasto penetrano tra le mura della Santa Chiesa, è la contrapposizione tra la Verità e la Carità.

“La carità nella verità, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. L’amore – « caritas » – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio, Amore eterno e Verità assoluta. Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero (cfr Gv 8,32). Difendere la verità, proporla con umiltà e convinzione e testimoniarla nella vita sono pertanto forme esigenti e insostituibili di carità. Questa, infatti, «si compiace della verità» (1 Cor 13,6)”. (Benedetto XVI, “Caritas in Veritate”)

Ma la Verità e l’Amore sono la medesima Sostanza dell’Unico Vero Dio!

Non c’è mai stato né mai ci sarà alcun Amore fuori della Verità, e non c’è mai stata né mai ci sarà alcuna Verità che contrasti con l’Amore.

Ogni apparenza di amore, che debba contrapporsi alla Verità, non è amore, ma è una forma con cui il Principe della Menzogna induce chi crede di amare a farsi complice del male di chi vorrebbe amare.

Vergine Santissima Maria Madre di Dio, Mediatrice di tutte le Grazie, ottienici dallo Spirito Santo, Tuo Sposo Divino, la Sapienza, che Tu ci hai donato, incarnata nel Tuo Divin Figlio Gesù Cristo, perché oggi e sempre, coloro che Egli si è acquistato col Suo Sangue Preziosissimo dal Legno della Santa Croce, siano purificati da tutti i veleni della menzogna, e possano contemplare in eterno lo Splendore della Verità.

Amen.

Francesco d’Erasmo, sacerdote cattolico,

Vicario Parrocchiale del Duomo di Tarquinia,

Concattedrale della Chiesa di Civitavecchia-Tarquinia,

Tarquinia, 3 agosto 2021, Inventio S. Stefanis Protomartiri (Ritrovamento di Santo Stefano Primo Martire, secondo il Calendario Liturgico Tridentino)




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