Le letture di oggi sono particolarmente decisive per la nostra fede.
E, come in realtà ogni giorno, sono particolarmente puntuali. Il Signore infatti si serve ogni giorno della parola giusta per illuminare il nostro presente.
Si è aperto un dibattito acceso fra i pastori della Chiesa, che confonde non poco i fedeli.
Alcuni pastori infatti, di fronte al dramma di quello che sta avvenendo nel mondo, si sono subito affrettati a mettere in guardia dai “visionari” che parlano di castighi.
Secondo loro Dio non castiga.
E così suonano con la predicazione ecclesiastica la melodia suonata dal mondo: tranquilli, andrà tutto bene.
La Parola di Dio di oggi ci viene in aiuto.
La prima lettura ci ricorda la ribellione del Popolo d’Israele nel deserto.
Pur avendo toccato con mano in ogni modo la protezione di Dio, il popolo è scontento e mormora, dice male di Dio, cioè lo maledice. In fondo bestemmia.
Il popolo si rivolge a Mosè e a Dio come a due nemici alleati tra di loro, visto che Mosè sta svolgendo il ruolo di portavoce di Dio.
Protestano dicendo che hanno fatto male a condurli nel deserto, che in fondo sarebbe stata meglio la schiavitù dell’Egitto.
In questo modo disprezzano e calpestano tutta l’opera di benedizione che Dio ha fatto nei confronti del popolo.
Le dieci piaghe mandate sull’Egitto per convincere il Faraone a farli partire, la protezione del popolo dalle stesse piaghe, il passaggio miracoloso del Mare, il soccorso alla fame e alla sete, con la manna, le quaglie e l’acqua dalla roccia, il cambio di strada per non farli finire in mano ad un nemico che non avrebbero potuto sconfiggere… e ci sarebbero molte altre cose da dire.
Il Signore aveva provato a manifestare il Suo Amore al popolo con le benedizioni, ma il popolo ancora vedeva tutto nero. Tutto quello che Dio faceva e Mosè insegnava era sbagliato.
Allora il Signore manda i serpenti.
Ecco che il popolo finalmente, come svegliandosi da un sonno, si rende conto di avere peccato, e si pente.
Allora il Signore dona un rimedio.
Ordina a Mosè di fare un serpente di bronzo, da mettere sopra un’asta, e chi lo guarderà dopo essere stato morso non morirà.
Nella discussione con i farisei e gli scribi, che erano gli esperti della fede del popolo al tempo suo, Gesù identifica se stesso con il serpente di rame. “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che IO SONO“.
Ora, la prima cosa che salta all’occhio è proprio questa. Gesù sta rispondendo alla domanda di quelli che non vogliono affatto imparare da Lui, ma Lo provocano continuamente, non aspettando altro che l’occasione per poterLo accusare, cogliendolo in fallo nelle Sue stesse parole. Gesù, invece che evitare con prudenza di cadere in trappola, dice proprio quella parola che non avrebbe mai dovuto pronunciare: il Nome Santo di Dio.
E lo attribuisce direttamente a Sé Stesso!
È forse la prima volta che Gesù lo fa così chiaramente.
Fino a un certo punto Egli aveva rigorosamente evitato che se ne parlasse, mettendo a tacere i demoni che glielo dicevano in faccia, e chiedendo severamente ai suoi di non rivelarlo.
In quella prima fase della Sua predicazione, Gesù non faceva così per evitare problemi. Prima però di andare incontro alla morte aveva bisogno di un po’ di tempo per poter predicare, per permettere ai Suoi di conoscere il Suo Vangelo.
Non fu un tempo estremamente lungo, furono circa tre anni.
Man mano però Gesù comincia ad arrivare al cuore stesso del Suo annuncio. Proprio il fatto che lui non era solo il Messia, il Cristo, colui che Dio aveva scelto per salvare il suo Popolo.
Gesù vuole che gli uomini sappiano che Egli ha il potere di realizzare questa salvezza, perché è Dio stesso fatto uomo.
Per far comprendere questo, manifesta con forza sempre più inequivocabile la propria autorità divina. Sia come potere sulla natura, ma anche come forza di bontà, capace di guarire e risuscitare, e poi come autorità propriamente divina, perdonando i peccati.
Pian piano la sua arroganza diventava insopportabile per i suoi avversari.
“Ma tu chi ti credi di essere?”
Così suonava la domanda rivolta a Gesù nel Vangelo di oggi.
Lo avevano capito bene. Ma apposta per questo dovevano metterlo con le spalle al muro.
Ed ecco che Gesù li spiazza.
Invece di rispondere evitando di farsi incastrare, come già molte volte aveva mostratato di saper fare, dice proprio quello che alla fine gli costerà la vita. “IO SONO“. Queste parole sono nientemeno che il Nome di Dio come era stato rivelato a Mosè nel roveto ardente, quando Dio lo aveva chiamato per mandarlo a liberare il Suo Popolo.
Inoltre, per capire come Gesù stesse sfidando l’arroganza di quelli che volevano far passare Lui per arrogante, non dobbiamo dimenticare che il Nome di Dio per gli Ebrei non si può nemmeno pronunciare.
Essi interpretano in questo modo il secondo comandamento. Infatti quando leggono la Scrittura, dove vedono le quattro lettere del Nome di Dio leggono “Adonai”, il Signore, non “Dio”, come è scritto.
Perciò Gesù ha la sfacciataggine di dire, secondo come loro lo comprendevano: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono Dio!”
Non era certo una risposta per cavarsi d’impiccio.
Ecco quindi che questa risposta, nella quale Gesù si assimila al serpente di rame, rimedio contro il morso dei serpenti, riassume tutta la storia del rapporto tra l’uomo e Dio.
Il primo uomo, avendo peccato, è stato morso dal serpente, il castigo di Dio.
L’uomo che riconosce in questo castigo il richiamo di Dio, e si pente, ha una possibilità di salvezza.
Volgersi verso quello che Dio gli si offre come salvezza.
Il primo peccato è stato un atto di superbia. L’uomo ha disprezzato l’avvertimento di Dio: “non mangiare, perché certo moriresti!” Ha peccato e si è attirato il castigo di Dio.
La medicina del castigo è un atto di umiltà: fai quello che Dio ti indica.
All’inizio della vita pubblica di Gesù è Maria che indica l’obbedienza a Gesù come rimedio d’immortalità. “Fate quello che vi dirà”. Guardate quello che è innalzato.
Giustamente gli Ebrei nel deserto potevano dire: “Mi ha morso un serpente, e io guardo un serpente di rame e guarisco? Ma beato te, povero scemo…”
Forse qualcuno lo ha pensato davvero, non ha guardato, ed è morto.
Quelli però che hanno avuto l’umiltà di fidarsi di Mosè, che aveva parlato a nome di Dio, sono stati guariti e non sono morti.
Così la vera guarigione è avvenuta nel loro cuore! Dalla superbia sono tornati all’umiltà davanti a Dio.
E Dio, che non riesce a penetrare con la Sua Grazia in un cuore superbo, può invece riempire di ogni bene il cuore umile.
Così, i giudei che hanno condannato Gesù, non hanno avuto l’umiltà di riconoscere che Egli era la Salvezza inviata da Dio, non lo hanno accolto.
E per loro quella salvezza si è trasformata in condanna. Essi infatti dicevano: tu che sei uomo ti fai Dio! Non puoi!
E così mostravano solo la loro stoltezza: dire a Dio quello che può e non può fare.
Mentre per quelli che hanno creduto, hanno avuto l’umiltà di fidarsi, e fare quello che era stato loro chiesto, la Croce di Gesù è stata la nuova nascita come Figli di Dio.
Adesso noi assistiamo al triste ripetersi dello stesso spettacolo: il Signore ci sta offrendo la Salvezza dai peccati gravi che la Santa Chiesa ha commesso nei Suoi membri.
Questa Salvezza è stata manifestata in ogni modo da lunghissimo tempo.
La Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, Regina del Cielo, dal Cuore Immacolato, come la Chiesa da sempre la riconosce e la venera, ci è stata inviata come Mediatrice di Salvezza.
Questa verità è molto appropriata proprio per la purificazione della Chiesa dai peccati dei Suoi figli.
Maria Santissima infatti è immagine e Modello della Chiesa. E’ attraverso il Suo SI’ che il Figlio di Dio ha potuto farsi uomo. Questo è il Suo Cuore Immacolato, la perfezione della Sua docilità a Dio.
E il grande male che sta attraversando la Chiesa in questo momento è lo scandalo, ossia l’impedimento che i Suoi membri oppongono alla Grazia di Dio.
Con i peccati personali, così come con l’annuncio falsato della Parola di Dio, nelle parole e nella stessa forma di vita, che impedisce una comunicazione limpida e vera tra Dio e gli uomini.
La Chiesa, chiamata a essere Madre, ossia a generare figli di Dio, arriva ad allontanare gli uomini da Dio!
Triste ripetizione del peccato di aborto!
Proprio coloro che dovrebbero riconoscere questa nuova ancora di salvezza, novelli sommi sacerdoti e sinedrio di Israele, nella loro arrogante superbia davanti a Dio hanno deciso che questo non è possibile, accampando come scusa il rispetto per il primato di Gesù Cristo, come quelli accampavano il primato di Dio.
La settimana scorsa tutti hanno visto il contrasto tra i Vescovi del Portogallo, della Spagna e numerosi altri paesi, che hanno umilmente accolto la richiesta della Vergine Maria, e chi invece non ha voluto farlo, nascondendo queso rifiuto sotto la dissimulazione di una venerazione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.
Costoro hanno volto lo sguardo da un’altra parte, per non vedere il cielo.
Dopo essersi sempre proclamati paladini di una chiesa dal basso, non vogliono ascoltare la voce unanime del popolo fedele di Dio.
Proprio nel cuore della cristianità, nel luogo dove Pietro ha versato il suo sangue per non rinnegare Gesù.
Ma per qualche strano motivo, proprio quel momento è stato segnato dall’immagine di una strana luce nel cielo, che molti fedeli hanno visto come un segno che richiama a Maria.
Ecco che oggi, come in ogni epoca della storia, accadrà la medesima cosa che agli Ebrei nel deserto o di fronte a Gesù.
I semplici e gli umili, che credono a Maria, guardano a Lei, e saranno salvati.
Essi non hanno disdegnato di fare una cosa semplice, come aveva detto il servo di Naaman, e sono curati dalla lebbra.
Gli altri, che pretendono di dire a Dio come deve fare per salvarci, manipolando persino la Sua Parola, come gli antichi Giudei, non faranno altro che escludere se stessi dalla Salvezza.
C’è un episodio della scienza moderna molto interessante riguardo a questo. Un papirologo e archeologo protestante tedesco, Carsten Peter Thiede, studiando il cartello dell’INRI, ritrovato da Sant’Elena a Gerusalemme e conservato a Roma, nella Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme, fece una scoperta bellissima.
Oltre a rendere evidente che la reliquia del cartello non può essere che autentica, per tutta una serie di motivi scientifici inconfutabili, rimase impressionato da un’osservazione, che peraltro il Signore aveva già manifestato alla Chiesa attraverso alcuni mistici.
Le iniziali delle parole che Pilato aveva fatto scrivere: Gesù Nazareno Re dei Giudei – INRI appunto, nella versione latina – in ebraico sono le quattro lettere che compongono il Nome di Dio. IO SONO, tradotto in italiano.
Proprio le parole che Gesù aveva pronunciato.
In parole povere, quando Gesù è stato crocifisso, sopra la sua testa c’era un cartello. La scritta su questo cartello, a prima vista era “DIO“.
Ecco perché, fra l’altro, i sacerdoti avevano chiesto a Pilato di cambiarlo, dicendo che scrivesse: “Lui ha detto che è il re dei Giudei”.
Volevano che aggiungesse: “Lui ha detto”. In questo modo il cartello sarebbe stata la dimostrazione della ragione della Sua condanna a morte: “Ha detto: sono Dio”.
Cioè ha bestemmiato, perciò la morte se l’è cercata.
Quelli che accusavano Gesù di bestemmia, dicevano che Dio non può decidere come salvarci.
Dio non può essere uomo.
Non è forse questa la più brutta delle bestemmie?
Così oggi dicono che non ci si può consacrare a Maria, perché è solo una creatura, rifiutando quello che Dio stesso ci chiede. La vedono come una bestemmia del primato di Dio.
Pretendere di determinare la volontà di Dio, non è forse proprio la suprema bestemmia?
Oggi poi tutto questo è reso dolorosamente più attuale da una notizia diffusa ieri sera dai media. Proprio quel Cardinale, che per primo, proprio a Roma, ha comunicato la decisione di chiudere le Chiese è il primo, del Collegio Cardinalizio, di cui si sa che è ammalato del virus.
E, tenendo conto dei tempi di incubazione, potrebbe essersi contagiato proprio in quei giorni.
Una volta vennero a raccontare a Gesù di alcune vittime di una violenza terribile, che aveva violato non solo i corpi, ma la stessa anima di alcune persone, secondo la fede ebraica. Gesù spontaneamente prende proprio il tema del castigo. Domanda loro: “credete che loro fossero più peccatori degli altri?”
Crediamo noi che la colpa di quel Cardinale sia più grave di quella di ognuno di noi?
Gesù aggiunge:”No, Io vi dico (era la formula di giuramento!), se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo“.
È molto impressionante anche il fatto che tutto il contesto del Vangelo di Luca ci parla di vigilanza, di essere disponibili ad accogliere il Regno di Dio.
Soprattutto la parabola subito successiva parla di un ultimo avvertimento, dopo il quale non ci saranno più possibilità.
Speriamo che queste cose possano toccare il cuore di chi ha la responsabilità suprema di esaudire la richiesta di Dio, attraverso Maria, nuovo Mosè, che ci offre la medicina dell’umiltà per curare la ferita del peccato.
Francesco d’Erasmo
Tarquinia, 31 marzo 2020.
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